Articoli anno 2016
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Violazione posta fra coniugi
E’ responsabile del reato di violazione della corrispondenza il coniuge che apre la posta diretta all’altro che non vive
più nella casa familiare.
Il tema, molto spinoso, dei limiti entro cui fra coniugi sia possibile aprire e leggere la corrispondenza, è stato affrontato dalal Suprema Corte con decisione 3 maggio 2016 n. 1846.
Il caso.
Una donna ha sporto querela nei confronti del coniuge, lamentando che, quando già si era allontanata dalla casa coniugale ed era in corso il procedimento di separazione, il marito avesse aperto una lettera a lei indirizzata invece di limitarsi a rimetterla al nuovo recapito della stessa.
Il Tribunale prima e la corte d'appello poi condannavano l'uomo per violazione della corrispondenza ai sensi dell'art 616 c.p.
L'imputato presentava ricorso per Cassazione lamentando diversi vizi della sentenza ma, a quel che interessa ai fini di questo articolo, i due motivi fondamentali sono rappresentati da:
- il mancato riconoscimento a favore dell'uomo della scriminante dell’aver agito nella presunzione del consenso
della moglie;
- la mancata considerazione dell'ipotesi di 'negotiorum gestio' o gestione di affari altrui, ammessa dal codice civile.
Entrambe le doglianze dell'uomo sono state disattese dalla Corte.
Quanto alla prima, in virtù del fatto, emerso in corso di processo, che un mese prima che giungesse la lettera poi aperta improvvidamente dal marito, la moglie gli aveva comunicato, tramite posta elettronica, il nuovo recapito presso il quale indirizzare la corrispondenza a lei diretta. Fatto, questo, di per sé idoneo a far comprendere che la donna non intendeva prestare alcun consenso presunto all'apertura della propria corrispondenza.
Quanto alla seconda (negotiorum gestio), la Corte ha ritenuto insussistenti i presupposti, posto che la donna era palesemente in grado di gestire autonomamente i propri affari, mentre l'istituto della 'negotiorum gestio' presuppone l'impossibilità del beneficiario a occuparsi dei propri affari.
Precedente giurisprudenziale:
Cassazione penale, sez. V, 4 ottobre 2013 n. 585
Avvocato Enrico Candiani
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