Elenco articoli giuridici dello studio legale avvocato Enrico Candiani anno 2016
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Danno da prodotto difettoso



In materia di risarcimento del danno da prodotto difettoso, il concetto di difetto è sostanzialmente riconducibile al difetto di fabbricazione ovvero alle ipotesi dell’assenza o carenza di istruzioni ed è strettamente connesso al concetto di sicurezza.


La materia del danno da prodotto difettoso è particolarmente subdola e spesso le nozioni sono confusamente percepite dal consumatore.
Si inserisce a contribuire ad un po’ di chiarezza la decisione della Corte di Cassazione del 19 febbraio 2016, n. 3258,
Il caso.
Una consumatrice proponeva azione finalizzata ad ottenere il risarcimento dei danni patiti a seguito dell’esplosione di un fustino di candeggina avvenuta durante il suo normale utilizzo. Il Tribunale di Roma rigettava la domanda ritenendo “insussistente la prova della riconducibilità del fatto ad un difetto del prodotto”.
Impugnata la decisione, la Corte di appello di Roma confermava il diniego al risarcimento, ed avverso tale sentenza veniva interposto ricorso per Cassazione.
Anche la Cassazione, tuttavia, respingeva la domanda.
In primo luogo, la Corte ha ribadito (vd. Cass. 29 maggio 2013, n. 13458) che la responsabilità da prodotto difettoso ha natura presunta, e non oggettiva, ossia non si richiede la presenza di una colpa in capo al produttore ma occorre la prova della sussistenza di un difetto nel prodotto.
Tale prova incombe sul danneggiato, come da’art. 8 del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 224, oggi art. 120 del cd. “Codice del consumo.
Occorre poi dimostrare il rapporto di causalità fra il difetto accertato ed il danno verificatosi.
Sul punto del ‘difetto’, si considera tale un prodotto che non offra la sicurezza che ci si può legittimamente attendere in relazione al modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, alla sua presentazione, alle sue caratteristiche palesi alle istruzioni o alle avvertenze fornite, all’uso per il quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato, e ai comportamenti potenziali dell’utente che si possono ragionevolmente prevedere, al tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione.
Così scrive la Suprema Corte, per sostenere la difettosità del prodotto, ovvero che esso danno deve essere “sostanzialmente riconducibile al difetto di fabbricazione ovvero alle ipotesi … dell’assenza o carenza di istruzioni ed è strettamente connesso al concetto di sicurezza”.
Il concetto di sicurezza è il concetto chiave: “il livello di sicurezza prescritto, al di sotto del quale il prodotto deve, perciò, considerarsi difettoso, non corrisponde a quello della sua più rigorosa innocuità, dovendo, piuttosto, farsi riferimento ai requisiti di sicurezza generalmente richiesti dall’utenza in relazione alle circostanze specificamente indicate o ad altri elementi in concreto valutabili e concretamente valutati dal giudice di merito, nell’ambito dei quali, ovviamente, possono e debbono farsi rientrare gli standards di sicurezza eventualmente imposti dalle norme in materia”.
La Corte ha inoltre puntualizzato che il mero verificarsi del danno non prova, di per sé, la pericolosità del prodotto in condizioni normali di impiego, ma solo una più indefinita pericolosità del prodotto, da sola non idonea a rappresentare la responsabilità del produttore. Occorre cioè che sia “in concreto accertato che quella specifica condizione di insicurezza del prodotto si pone al di sotto del livello di garanzia di affidabilità richiesto dalla utenza o dalle leggi in materia”
Sulla base di tali assunti, la Corte ha verificato l’assenza nel processo della prova di un “difetto” oggettivo nel prodotto (candeggina), non avendo ritenuto idoneo a tal fine il riscontro testimoniale della rottura del flacone di candeggina, insufficiente a poter far ritenere la difettosità del prodotto in assenza di ulteriori elementi indiziari utili a dimostrare la difettosità oggettiva del prodotto.

Avvocato Enrico Candiani


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